La previsione dell’art. 71, c. 1 del codice del Terzo settore, stabilisce che “le sedi degli ETS e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica”. Su questa norma di favore il MLPS si è espresso con note n. 3734 del 15/04/2019, n. 3959 del 22/03/2021 e n. 17314 del 17/11/2022 nelle quali viene precisato che l’ambito soggettivo della previsione contenuta nel 1° comma dell’art. 71 è limitato agli ETS, cioè:

  • gli enti qualificati come ETS, secondo la definizione dettata dall’art. 4, comma 1 del codice, e che siano iscritti nel RUNTS;
  • le organizzazioni di volontariato (Odv) e le associazioni di promozione sociale (Aps) già iscritte negli appositi registri che, secondo le previsioni dell’art. 54 del codice, sono state oggetto di trasmigrazione nel RUNTS;
  • le ONLUS iscritte nell’omonima anagrafe.
Circa le ASD e SSD, il Ministero puntualizza che non rientrano nel Terzo settore le ASD e SSD così come gli altri enti iscritti prima nel registro Coni e ora nel RASD (registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche, tenuto dal Dipartimento per lo Sport), a meno che non siano in possesso della qualifica di ETS. Precisa, inoltre, che l’agevolazione disposta dall’art. 71 si applica solo dopo l’acquisizione della qualifica di ETS e fintanto che essa sussista. La nota ministeriale n. 3959 del 22 marzo 2021, ha chiarito che sono escluse le imprese sociali in quanto, argomenta il Ministero, il principio di indifferenza urbanistica di cui all’art. 71 riguarda le sedi e gli ambienti nei quali gli Ets svolgono le attività istituzionali con esclusione di quelle “di tipo produttivo”. Le imprese sociali, invece, come prescrive il D.L.vo 112/2017, “esercitano in via stabile e principale” attività d’impresa, ancorché di interesse generale.
Per delimitare invece l’ambito oggettivo di applicazione della disposizione, il Ministero offre anzitutto un chiarimento sulla natura dell’agevolazione, rintracciandone la ratio nelle finalità perseguite dalla legge delega per la riforma del Terzo settore: con essa il legislatore, “in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale” costituzionalmente garantito dall’art. 18 della Costituzione, ha inteso “promuovere e favorire le associazioni private che realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi” (legge 106/2016, art. 1). Si tratta, quindi, di una particolare tutela a favore dei luoghi nei quali gli Ets svolgono le proprie attività di interesse generale e che li mette al riparo da eventuali scelte urbanistiche degli enti locali, che potrebbero creare loro difficoltà, e che esplicita la volontà legislativa di riconoscere “la superiorità del valore sociale dell’utilizzo degli spazi pubblici da parte degli Ets rispetto alle decisioni in merito alla destinazione urbanistica degli spazi medesimi”, come è stato affermato anche dalla giurisprudenza amministrativa citata dalla nota ministeriale (Tar Lombardia n. 1269/2022 e Tar Abruzzo n. 519/2019). Anche il Consiglio di Stato ha confermato che la meritevolezza delle finalità perseguite è alla base delle motivazioni che consentono che le “sedi e i locali adibiti all’attività sociale siano localizzabili in tutte le parti del territorio urbano e in qualunque fabbricato a prescindere dalla destinazione d’uso edilizio ad esso impressa specificamente e funzionalmente al titolo abilitativo” (Sez. VI, n. 383/2000).
Anche il Consiglio di Stato ha confermato che la meritevolezza delle finalità perseguite è alla base delle motivazioni che consentono che le “sedi e i locali adibiti all’attività sociale siano localizzabili in tutte le parti del territorio urbano e in qualunque fabbricato a prescindere dalla destinazione d’uso edilizio ad esso impressa specificamente e funzionalmente al titolo abilitativo” (Sez. VI, n. 383/2000).
In considerazione della finalità perseguita, il Ministero precisa che la previsione dell’art. 71 non consente di cambiare la destinazione d’uso degli ambienti nei quali gli ETS svolgono la loro attività istituzionale; infatti viene evidenziato che, se l’utilizzo di un immobile da parte di un ETS avesse come conseguenza l’effetto di determinarne il cambio di destinazione d’uso questo avrebbe carattere permanente e, contrariamente a quanto previsto dalla norma, sarebbe efficace anche nei confronti di successivi utilizzatori non in possesso della qualifica di ETS, con conseguente trasformazione della previsione dell’art. 71 in norma di carattere generale”. Inoltre, il ministero chiarisce che l’agevolazione recata dall’art. 71 ha dei precisi limiti non si può intendere come “una deroga generalizzata alle disposizioni in materia di titoli abilitativi edilizi” e neppure come “un’autorizzazione preventiva a qualsiasi attività costruttiva eseguita per iniziativa degli enti del Terzo settore”. In particolare, e prescindendo dal caso specifico a cui la nota dà risposta, la disposizione non può essere interpretata così estensivamente fino a comprendervi anche la possibilità di effettuare nuove costruzioni senza il rilascio dell’apposito titolo edilizio perché così facendo si andrebbe oltre la sua finalità e la si farebbe operare “come norma derogatoria generalizzata della disciplina urbanistica”.
Infine, la nota del Ministero n. 3734 del 15 aprile 2019, risponde al quesito, rivolto dalla Regione Emilia Romagna, riguarda alcune APS che, “pur non prevedendolo espressamente nell’atto costitutivo o nello statuto svolgono attività di culto”. Si precisa che queste sono svolte in maniera non prevalente rispetto a quelle istituzionali e che avvengono in ambienti “per cui è applicata la normativa di favore di cui all’art. 71” del codice. Rifacendosi ad alcune definizioni del Consiglio di Stato, il Ministero offre anzitutto due indicazioni per individuare l’attività di culto: può intendersi la “pratica religiosa esteriore riservata ai credenti di una determinata fede” (Sez. V, n. 181/2012) oppure “la celebrazione di funzioni religiose riservate ai credenti di una determinata fede, la diffusione del relativo credo, la formazione degli aderenti e dei ministri religiosi” (Sez. I. n. 3417/2015).
La nota afferma che una celebrazione solo occasionale non è nemmeno in grado di poter determinare un diverso “oggetto sociale” dell’ente e, dunque, può essere promossa dall’ente di Terzo settore e può essere svolta negli ambienti in cui l’ente svolge la propria attività istituzionale, anche avvalendosi del regime di favore dell’art. 71. Al contrario, la fattibilità di attività di culto “ricorrenti e sistematiche” deve essere verificata alla luce della disciplina del CTS secondo il quale un ente che acquisisce la qualifica di ETS deve svolgere “in via esclusiva o principale” le attività di interesse generale di cui all’art. 5 (tra le quali non ricorrono quelle di culto) e, se lo statuto lo prevede, anche le “attività diverse” disciplinate dall’art. 6. Circa la possibilità di collocare le attività di culto tra quelle “diverse” il Ministero afferma che “appare problematica, data la necessaria strumentalità” rispetto alle attività di interesse generale ed anche “alla luce del principio dell’irrinunciabile separazione tra la sfera statale e quella religiosa, secondo cui «non è dato allo Stato interferire, come che sia, in un ordine che non è il suo, se non ai fini e nei casi espressamente previsti dalla Costituzione (ex multis, Corte Costituzionale, sentenza n. 334/1996)”. Comunque, conclude la nota, indipendentemente dall’eventuale possibilità di ricomprendere le attività di culto tra quelle “diverse” di cui all’art. 6, qualora un locale (anche quello in cui si trova la sede dell’associazione e/o in cui si svolgono le attività istituzionali) venga utilizzato “in maniera sistematica e organizzata” per lo svolgimento di celebrazioni religiose o altre attività di culto, non è possibile usufruire della deroga alla normativa sulle destinazioni d’uso prevista dall’art. 71. Da ultimo, va sottolineato che il Ministero ben distingue la situazione degli “enti religiosi civilmente riconosciuti” (come, ad esempio, gli enti ecclesiastici della Chiesa cattolica e quelli delle confessioni che hanno stipulato intese con lo Stato italiano), ai quali è consentito avvalersi della normativa del Terzo settore limitatamente alle attività istituzionali di interesse generale ed alle eventuali attività diverse di cui all’art. 6 sul presupposto che sussistano anche, e necessariamente, attività di religione o culto. L’art. 4, c. 3 del codice stabilisce infatti che a questa tipologia di enti si applicano le norme degli Ets limitatamente allo svolgimento delle attività previste per questi enti, a condizione che con riferimento a tali attività sia adottato un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, “che, ove non diversamente previsto ed in ogni caso nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti”, recepisca le norme relative agli enti del Terzo settore, sia costituito un “patrimonio destinato” e siano tenute scritture contabili separate. Una previsione del tutto analoga opera anche con riferimento alle imprese sociali.
DOTT. FRANCESCO DE NARDO